
Come le città incentrate sull’auto trasformano gli alleati in avversari
C’è una cosa che ho capito pedalando per questa città: sulla carta, io che vado in bici e tu che cammini dovremmo essere dalla stessa parte. Entrambi rendiamo le strade più sicure, più vivibili. Entrambi facciamo bene al pianeta. Entrambi siamo schiacciati dal dominio dell’auto.
Eppure, città dopo città, qualcuno ci mette l’uno contro l’altro. I media alimentano il tropo (vedi nota 2 in calce) del “ciclista caotico” o del “pedone distratto”. Le scelte progettuali ci costringono al conflitto. È una classica strategia di divide et impera, e funziona alla perfezione.
Invece di guardare al sistema automobilistico come fonte di pericolo, l’attenzione viene spostata sui piccoli conflitti tra chi è già emarginato. Pedoni contro ciclisti. Ciclisti contro chi usa gli e-scooter. Tutti noi che ci accapiagliamo per ritagli di spazio mentre le automobili si prendono la fetta più grande della torta.
Ma chi vince davvero quando siamo in guerra tra di noi?
Quando il conflitto nasce dal design
L’ho visto succedere ovunque. Ai pedoni viene detto di stare attenti ai ciclisti; ai ciclisti di rimanere nella loro striscia. Nessuno è felice. Chi cammina si sente invaso; chi pedala viene rimproverato come spericolato.
L’assurdità è che il dibattito si fissa su come noi pedoni e ciclisti dobbiamo imparare a coesistere, mentre nessuno mette in dubbio lo spazio regalato alle automobili. Il conflitto non è naturale: è stato prodotto dal design.
Lo stereotipo del ciclista “cattivo”
Parliamoci chiaro: chiedi a chiunque cosa pensa dei ciclisti e la risposta arriva rapida. Fanno come pare a loro. Infrangono le regole. Interrompono il traffico.
Questo stereotipo è così radicato che quando Warnakulasooriya Sanjeewa Prad Fernando, 44 anni, fu investito e ucciso da un camion mentre pedalava su una corsia ciclabile di Bergamo il 16 maggio 2023, la reazione ha seguito una sceneggiatura tristemente familiare. Il discorso si è allontanato dalle automobili, dai camion, dalle infrastrutture inadeguate, per tornare sui ciclisti: il loro comportamento, la loro visibilità, il loro presunto caos.
Un uomo è morto in uno spazio destinato ai ciclisti, eppure il peso morale ricadeva ancora sull’andare in bicicletta. La colpevolezza sistemica è stata minimizzata. Invece, ai ciclisti è stato detto di comportarsi meglio, essere più visibili.
Eppure i fatti dicono altro. In Italia nel 2024 (dati ACI-ISTAT), 468 pedoni sono rimasti uccisi: 341 da automobili, uno da una bici a pedalata assistita, uno da un monopattino. Ma questa realtà è raramente riconosciuta, perché ammetterlo significherebbe affrontare il dominio dell’auto.
La politica della scarsità
Il conflitto si insinua anche nei dibattiti politici e nelle decisioni di finanziamento. So bene che il trasporto attivo compete costantemente con l’ampliamento delle strade, il flusso del traffico, il parcheggio. Il ciclismo è spesso il primo a essere tagliato.
Anche qui a L’Aquila mi domandano sempre: _Chi userà la bici? È rischioso! Questa non è una città per biciclette! Stai attento!
I compromessi sono presentati come somma zero: spazio per le bici o per le auto, marciapiedi o piste ciclabili. In Italia i fondi per la mobilità ciclistica erano 94 milioni, ora sono meno di 10, mentre i miliardi per strade e autostrade sono rimasti intatti.
Mentre litighiamo per le briciole, i miliardi riversati nell’asfalto rimangono intoccabili.
Il linguaggio della colpa
Il linguaggio dà forma a ciò che progettiamo e accettiamo. Chi cammina, va in bici, usa una sedia a rotelle viene etichettato come “utente vulnerabile della strada”. Ma non c’è nulla di intrinsecamente vulnerabile nel muoversi con le proprie forze. La vulnerabilità sorge solo quando siamo costretti a condividere lo spazio con veicoli veloci e pesanti.
Il termine “utente vulnerabile” sposta la responsabilità sulle persone, non sulle condizioni che le mettono in pericolo. Il conducente di un SUV da due tonnellate è un “veicolo”, mentre chi cammina è “vulnerabile”. Perché chi guida una macchina letale non viene chiamato “pericoloso utente della strada”?
Lo stesso vale per “micromobilità”: scooter, e-bike, bici da carico. L’etichetta implica che le auto sono la forma predefinita di mobilità, così naturale da non aver bisogno di aggettivi. Queste cornici linguistiche impongono la gerarchia: noi diventiamo problemi da gestire, le auto restano la linea di base indiscussa.
Come andare oltre
Recuperare spazio dalle auto, non l’uno dall’altro
Il conflitto tra pedoni e ciclisti non è naturale, ma prodotto da scelte progettuali e narrazioni culturali. Se vogliamo città più sicure e vivibili, dobbiamo smettere di accettare lo spazio per le auto come intoccabile.
Spostare la narrazione
Invece di amplificare le lamentele contro i ciclisti, i media dovrebbero riportare i dati. Chi sta causando le morti, l’inquinamento, la crisi climatica? Mentre noi litighiamo per le briciole, le auto si prendono il banchetto.
Design per la convivenza
Le strade possono permettere a chi cammina e chi va in bici di prosperare insieme — attraverso strade lente condivise, attraversamenti sicuri, corridoi verdi. Gli incontri tra chi va a piedi e chi pedala non devono essere conflitti. Quando lo diventano, è perché il design lo ha reso tale.
Costruire coalizioni
Dobbiamo costruire alleanze. Camminatori, ciclisti, chi usa la sedia a rotelle, genitori, attivisti climatici: abbiamo interessi sovrapposti. Frammentati, perdiamo. Uniti, spostiamo il potere. In FIAB promuoviamo la bici, ma il nostro scopo è più ampio: un sistema di mobilità più sicuro per tutti.
Dal conflitto all’azione collettiva
La cultura automobilistica prospera quando siamo troppo occupati a incolparci a vicenda. Più litighiamo per gli scarti di spazio, più sicuro rimane il suo dominio.
Chi cammina, chi va in bici, chi usa lo scooter, chi sta in sedia a rotelle, genitori con carrozzine: siamo alleati naturali. La nostra lotta non è tra di noi, ma con un sistema che ha normalizzato autostrade nelle città, SUV letali, parcheggi infiniti.
La solidarietà può essere ricostruita rifiutando il copione, smascherando i giochi di colpa, chiedendo che le automobili cedano lo spazio.
Ogni lite tra chi cammina e chi va in bici è un dono alla cultura dell’auto. Prima smettiamo di combatterci, prima possiamo combattere il vero avversario.
*Nota 1: questo post l’ho liberamente tradotto ed elaborato dall’articolo Divide and Conquer: How Car-Centric Cities Turn Allies Into Adversaries
scritto da Reena Mahajan e pubblicato il 21/11/2025 sul sito dell’Urban Cycling Institute
Nota 2: tropo In linguistica è figura semantica o di significato per cui una espressione dal suo contenuto originario viene ‘diretta’ o ‘deviata’ a rivestire un altro contenuto.




